Sa Battalla

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La storia dello scontro di Sa Battalla.

Descrizione

Sa Battalla

E’ l’alba del 30 giugno dell’anno del Signore 1409, sul campo di battaglia nelle campagne di Sanluri si fronteggiano due eserciti: quello degli Aragona e quello del Giudicato D’Arborea. Di li a poche ore lo scontro campale si fa cruento: Sa Battalla entra nel vivo.

Ogni due anni il Comune, in collaborazione con la Pro loco cittadina, organizza la rievocazione storica di un evento importantissimo per la storia sarda e italiana.

Cenni Storici
L’obiettivo aragonese: la “rapida riconquista della Sardegna”. Dopo l’arrivo a Cagliari, dalla Catalogna e dalla Sicilia, degli uomini, cavalli, armi ed altri rifornimenti attesi, non vi è dubbio che Martino “il Giovane” re di Sicilia abbia messo a punto, con i suoi consiglieri, il piano di azione da attuare con le forze disponibili. Restando obiettivo prioritario “una rapida riconquista della Sardegna”, si doveva mirare subito al cuore della rivolta e sfruttando gli eventi favorevoli — battere l’esercito del nuovo Giudice di Arborea Guglielmo III° di Narbona e Bas, prima che si rinforzasse. Questo, era numericamente superiore, ma aveva notevoli carenze di addestramento, specie alle operazioni di massa.
I suoi fanti erano sprovvisti di armi e armature adeguate; né sembra fosse dotato di armi da fuoco. Dopo la morte di Brancaleone Doria, avvenuta nel gennaio, era inoltre privo di un Capo prestigioso ed esperto. L’essere poi costituito da sardo—giudicali, sardo-genovesi, genovesi, lombardi, francesi, non favoriva certo né la compattezza, né l’intesa nello svolgimento delle operazioni. La presenza di una grossa componente sardo-genovese — minata da partigiani rancori per le recenti lotte fratricide della successione arborense né indeboliva ulteriormente la struttura.
Questo esercito, dopo aver guarnita di milizie il Castello di Villa di Chiesa (lglesias), risultava acquartierato nel giugno del 1409 nella grande fortezza di Sanluri (16 ettari di superficie) e nel vicino Castello di Monreale, cioè nei pressi del tradizionale confine sud dell’Arborea.

Da Cagliari a “Flummara”
Lasciando. il 26 giugno, col suo esercito, Castel di Cagliari, in direzione di Sanluri, re Martino non poteva trascurare le forze avversarie di stanza nel Sulcis perché queste avrebbero potuto attaccarlo sul fianco durante il trasferimento al nord, o tagliargli i rifornimenti o anche assediare Castel di Cagliari indebolito dalla partenza di tanti armati. Per creare azioni diversive ed indurre il nemico in errore circa le sue intenzioni, re Martino aveva ordinato prima, di partire per la zona di operazioni, che il 27 giugno alcune centinaia di fanti e cavalieri dirigessero su Villa di Chiesa per assediarla e che Berengario Carroz, conte di Quirra — fedele vassallo muovesse, con le proprie forze feudali, alla conquista dell’Ogliastra. Essendo estate e dovendo garantire giornalmente ai suoi 8.000 tinti, 3.000 cavalieri e ai loro 3.000 quadrupedi l’indispensabile rifornimento di acqua, aveva scelto per l’avvicinamento al nemico di seguire, a ritroso, il Rio “Samassi” (oggi Flumini Mannu) che dopo essere passato poco a sud di Sanluri sfocia nello stagno di Elmas. Procedendo lungo il fiume, la sera di sabato 29, le forze siculo-aragonesi giunsero a due miglia da Sanluri e si accamparono a “Flamaira”.
La trascrizione corretta del toponimo è certamente “Flumara” (dal sardo: stagno — fluviale). Tale località è oggi ancora identificabile nella grande ansa (parzialmente occupata dal lago artificiale di “Casa Fiume”) sorta per il brusco incontro del Flumini Mannu con le pendici del colle “Conca Manna” che ne ha provocato l’inversione. Prima della costruzione della diga, quando nel bacino imbrifero del fiume cadevano piogge battenti, le acque degli affluenti “Monte Miali” e “Allumina”, immettendosi di lato nel Mannu e sbarrando quindi le acque del fiume, né causavano lo straripamento che avveniva inondando le terre vicine fino ad ottenere un’altra via di uscita, tagliando l’ansa.
Dagli annali dello Zurita non risulta che la battaglia di Sanluri si sia svolta sotto la pioggia, ma che il 30 giugno 1409 il Fiume Mannu fosse in piena. Tale fenomeno si riscontrava anche in estate per i motivi indicati nel lemma 3 ed i locali, partecipavano l’evento dicendo: “esti cabau su frumi!”.

Le forze in campo Prime avvisaglie
All’alba di domenica 30 giugno, dopo che nella notte gli esploratori avevano battuto i dintorni della fortezza senza riscontrare movimenti o presenza di armati, l’esercito siculo-aragonese, dopo un discorso di incitamento del sovrano, mosse dall’accampamento di Flummara e si portò, in ordine di battaglia, fino a un miglio dall’abitato di Sanluri.
Guidava l’avanguardia Pietro Torelles con 1.000 armati. Seguiva, con un certo distacco, re Martino con il “grosso” (costituito da 4.000 uomini, dei quali almeno 1.000 cavalieri). Chiudeva la formazione la retroguardia, probabilmente della stessa consistenza dell’avanguardia. Poiché l’armata Aragonese partita da Cagliari era di 11.000 uomini (fra fanti e cavalieri), la differenza di 5.000 armati costituiva le riserve: la “tattica”, di almeno 2.000 fanti, era certamente rimasta a guardia dell’accampamento in attesa di ordini; l’altra “d’urto”, di 2.000 cavalieri e 1.000 fanti da impegnare nell’acme della battaglia — era solita avanzare seguendo un altro percorso, meno in vista, per tenersi “in ombra”, pronta però ad intervenire — come massa di manovra su richiesta del re.
Gli Aragonesi, inferiori di numero, contavano molto sul loro armamento e sulla loro organizzazione. I fanti avevano elmo, corazza, scudo, spada corta e lunga; gli arcieri erano forniti di arco o di balestra con caricamento a pedale; i cavalieri, dotati di corazza, montavano cavalli protetti; erano armati di lancia e di mazza e, nel fodero allacciato alla sella, avevano una daga gli antesignani degli odierni artiglieri accudivano agli schioppi ed alle bronzee bombarde introdotte in Sardegna dal 1380.
Dall’altra parte Guglielmo III° di Narbona, che dalle torri del Castello di Sanluri (quota mt. 150) aveva visto, la sera precedente, l’arrivo dell’avversario, si era mosso quel giorno di buon’ora seguito dai suoi. Egli doveva raggiungere gli altri fanti e cavalieri provenienti dal Castello di Monreale su una modesta altura (quota mt. 149), a un migliaio di metri da Sanluri, oggi nota come “Bruncu de sa battalla”. Qui intendeva concentrare gli armati ed attendere il nemico.
Le sue forze erano costituite da 3.000 cavalieri e 17.000 fanti. Fra questi i famosi balestrieri genovesi, noti per la loro precisione (la distanza di tiro massima era di 350 metri), la frequenza dei lanci (oltre una freccia al minuto), e la tempera delle punte in grado di perforare le armature. La maggior parte dei fanti sardi non era protetta né da corazza, né da elmo. Era solo armata “del proprio coraggio” e di una verga di circa un metro di lunghezza metà manico di legno e metà lama triangolare, leggermente ricurva — da utilizzare come lancia, spada e anche pugnale.

Bruncu de sa Batalla, il luogo del primo scontro
Re Martino giunse in vista delle forze giudicali con i suoi 5.000 fanti — armati di tutto punto — 500 cavalieri appiedati e 500 montati. Aveva la formazione tipica per sostenere l’attacco della fanteria avversaria. Quando però si accorse che Guglielmo III° constatata la prevalenza numerica della propria cavalleria, stava manovrando per lanciarla contro la fanteria siculo-aragonese e travolgerla durante la salita di avvicinamento, ordinò sia l’immediato intervento della “riserva d’urto”, composta da 2.000 cavalieri e 1.000 fanti celeri (con armatura leggera), che stazionava nei pressi, coperta alla vista dell’avversario, sia ai propri cavalieri appiedati di rimontare in sella.
Dispose poi la fanteria sul lato sinistro e la cavalleria sul destro, e fece assumere alla sua armata la formazione “a cuneo”, atta a contrastare l’attacco della cavalleria giudicale, ed a sfondare il fronte delle forze avversarie per dividerle e quindi batterie separatamente.
La manovra riuscì brillantemente. La battaglia fu subito asprissima, ma — ad un tratto, sotto la pressione del “cuneo”, il lato destro dell’esercito giudicate fu visto sfaldarsi e le sue componenti cercare rifugio nella vicina fortezza di Sanluri o spingersi più a nord in direzione del Castello di Monreale, inseguite dalla fanteria Aragonese. Il lato sinistro invece, essendogli stata chiusa la ritirata dalla manovra avvolgente della cavalleria Aragonese, fu spinto a scendere nella vallata che da Sanluri conduce a Furtei. Da qui poteva raggiungere la piana solcata dal Flumini Mannu, risalire a Sanluri e riunirsi alle forze residue. Gli Aragonesi, sapendo fin dal mattino che il “Mannu” era in piena e che le sue acque chiudevano il fondovalle, allertarono allora la “riserva tattica” — costituita dai 2.000 soldati rimasti nell’accampamento che si trovava vicino al fiume, per bloccare i fuggiaschi mentre questi, trovando chiuso il fondovalle dal fiume, avrebbero dovuto risalire l’altura — oggi nota col triste nome di “S’Occidroxiu” — per tornare a Sanluri.

L’eccidio de “S’Occidroxiu” e la caduta della fortezza di Sanluri
“Ai sardi mancò talvolta la fortuna, mai il valore”. Incalzati e divisi in gruppi dalla cavalleria avversaria, caduti nella trappola fluviale, quando si accorsero che la via d’uscita era sbarrata da consistenti forze, armate di tutto punto, furono presi da quel sacro furore che, se centuplica le forze, annebbia l’intelligenza ed è l’antitesi della freddezza tanto necessaria al combattente. Fu così che a “S’Occidroxiu” caddero a migliaia, mentre le perdite Aragonesi furono assai limitate. Non ebbero miglior fortuna coloro che si erano rifugiati nella fortezza di Sanluri. Questa infatti cedette ai reiterati assalti della fanteria siculo-aragonese, guidata da Bernardo di Cabrera, Bernardo Galcerando de Pinas e Giovanni De Vall ed all’interno della stessa venne fatta una carneficina. Vi perirono infatti duecento balestrieri genovesi, cento fanti francesi e lombardi e centinaia di civili considerati partigiani del nemico. Furono infatti passati a fil di spada gli uomini, mentre alle donne fu riservata la schiavitù.
L’abitato di Sanluri, che aveva come sua parrocchia la chiesa di S. Pietro e che stava fuori della fortezza, non vi è alcun motivo che fosse distrutto e gli abitanti uccisi, in quanto abitare non è una azione di guerra.

La fine del periodo giudicale
Il Giudice Guglielmo III° di Narbona e Bas dopo aver perso la propria insegna di combattimento, caduta in mani nemiche, riuscì a stento a raggiungere il Castello di Monreale ed a mettersi in salvo con i suoi fidi. Era stato inseguito, ma non raggiunto dalle milizie Aragonesi.
Re Martino il “giovane” che nella battaglia si era comportato – malgrado i consigli di prudenza del padre – con grande sprezzo del pericolo e molta audacia, in quella giornata fu molto fortunato. Non per nulla “Audaces fortuna iuvat”. Ma lo attendeva a breve un tristissimo destino. Morì di malaria 25 giorni dopo.
La battaglia di Sanluri fu certamente un immane massacro, ma le sorti del giudicato d’Arborea non erano compromesse visto che le forze Aragonesi non avevano provveduto immediatamente alla sua occupazione. Purtroppo la presenza di un Giudice, straniero per nascita, residenza ed interessi, portò alla fine di questo: sostanzialmente con la battaglia di Sanluri; formalmente il 17 agosto 1420 con la vendita, per 100.000 fiorini ad Alfonso IV° il Magnanimo re di Aragona, dei propri diritti sovrani.
Si chiuse così, dopo 530 anni, il periodo Giudicate che per gli Istituti giuridici introdotti concernenti elezioni e parlamento e per l’affermazione dello Stato super individuale (che si distingueva e prevaleva sulla persona del Sovrano), ha dato alla Sardegna il merito di aver anticipato di tre secoli l’Inghilterra nella valorizzazione dell’uomo e nella modernizzazione del concetto di Stato.
In questo riepilogo storico si incastona la Leggenda della BELLA DI SANLURI.
Dopo la battaglia il giovane Re di Aragona, si abbandonò a lussuriosi amplessi con la più bella ragazza fatta progioniera nel borgo di Sanluri, e rinchiuso nel Castello visse quattro giorni di amore sfrenato con la bella paesana.
Il re, già debilitato dagli sforzi della battaglia, e presumibilmente già contaggiato dalla malaria, sfinito dai complessi amorosi morì dopo 25 giorni dalla battaglia. La leggenda appunto nel narrare questo risalta la figura dell’eroina sanlurese che con i suoi voluttuosi giochi d’amore, vendicò il sangue dei suoi compaesani e dei sardi trucidati dal giovane Re Martino, ed oggi, nelle stanze del castello, qualche notte si aggira per verificare che la sua terra non venga più calpestata da invasori stranieri, pronta a concedersi nuovamente per la libertà del suo popolo sardo.

Testi a cura della Proloco di Sanluri tratti da http://www.contusu.it/sa-battalla/

Ultimo aggiornamento: 19/03/2024, 16:00